Cristina Battocletti

Nova Gorica—Gorizia

C’è un ragazzo di bronzo che veglia il cuore di Gorizia: è la statua del filosofo e scrittore Carl Michelstaedter, la cui tesi di laurea, La Persuasione e la rettorica, è diventata un testo di culto per molte generazioni. Michelstaedter, che si uccise a 23 anni nel 1910, pochi giorni prima di discuterla, è l'emblema della bellezza tragica e contraddittoria della sua città, che diede i natali a uno dei più grandi linguisti italiani, Graziadio Isaia Ascoli, prendendo il nome dalla parola slovena gorica, piccolo monte. Nell'architettura della città vi sono i segni delle dominazioni subite nei secoli: il leone della Serenissima,che veglia l'ingresso del castello; l'aquila bicipite sulla porta leopoldina, marchio della lunga dominazione degli Asburgo, che impressero a Gorizia la grazia della piccola Nizza con i campanili a cipolla e le fecero pagare un prezzo altissimo per libertà. "O Gorizia tu sei maledetta" sussurra il verso di una canzone sulla battaglia del 1916 con le sue 30mila vittime. Un fronte così feroce da persuadere Ernest Hemingway ad ambientare qui Addio alle armi, senza avervi messo piede. La città non si era nemmeno rialzata dalla Prima guerra che venne travolta dalla Seconda, al termine della quale, nel 1947, un muro segnò una cicatrice lungo la città, tagliando a metà la piazza della stazione. Gli iugoslavi vi costruirono a ridosso un tessuto urbano di stampo socialista fino a quando nel 2004 l'Europa fece saltare reti e muretti. Chi scrive c'era. Non era la Berlino del 1989, ma si avvertivano una commozione e un'energia indimenticabili.
(Catalogo della mostra "Dal cielo e dal mare", i paesaggi di Franco Dugo e gli abiti di Mateja Benedetti, Galleria Antonia Jannone, Milano, 2019)